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  • Susic, il mago bosniaco che fece litigare l'Inter e il Torino di Moggi, prima di diventare un idolo al PSG

    Susic, il mago bosniaco che fece litigare l'Inter e il Torino di Moggi, prima di diventare un idolo al PSG

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    E’ il 13 giugno del 1979.
    A Zagabria si sta giocando un’amichevole tra i padroni di casa della Jugoslavia e la nazionale italiana guidata da Enzo Bearzot.
    Paolo Rossi, su perfetto assist di “Ciccio” Graziani, ha portato in vantaggio gli azzurri.
    Sono passati solo tre minuti quando Vladimir Petrovic riceva palla sulla sinistra, alza la testa e vede l’inserimento a centro aerea del suo compagno di squadra con il numero “11” sulle spalle.
    Il pallone è perfetto.
    Ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Bisogna controllarlo, resistere al ritorno di Claudio Gentile e poi cercare di superare Paolo Conti, il sostituto di Dino Zoff tra i pali.
    Il numero “11” della Jugoslavia fa tutto questo alla perfezione e il suo tocco di esterno destro sull’uscita del portiere italiano è preciso quanto delicato e s’infila sul palo lontano riportando in parità il match.
    Passano altri otto minuti.
    Ai padroni di casa viene concesso un calcio di punizione qualche metro fuori dall’area di rigore dell’Italia.
    E’ sempre Petrovic che tocca il pallone lateralmente.
    Il numero “11” della Jugoslavia lascia partire un autentico missile (stavolta di sinistro) che finisce alle spalle di un incolpevole Conti.
    Con la Jugoslavia in vantaggio per due reti ad una finisce il primo tempo ma a metà della ripresa arriva il terzo e decisivo gol.
    C’è un’azione che si sviluppa sul settore destro della difesa azzurra. Petrovic porta palla e attende la sovrapposizione del terzino sinistro Muzinic.
    Il suo cross rasoterra “taglia” tutta l’area degli azzurri.
    Sembra un pallone perso quando sul lato opposto arriva ancora lui, il numero “11” con la maglia blu. Anticipo perfetto su Aldo Maldera e pallone in fondo al sacco.
    Nel finale arriverà il quarto gol della Jugoslavia segnato dal mediano Zajec.
    Tre reti in sessantasei minuti.
    Sarà l’ultima volta che un calciatore avversario sarà in grado di segnare una tripletta alla nazionale italiana nella stessa partita.
    Il suo nome è Safet Sušić e sono in tanti da quelle parti a considerarlo il più forte calciatore bosniaco di tutti i tempi ... e molto, molto in alto tra i migliori di sempre della ex-Jugoslavia.
     
    Zavidovići è un piccolo centro della Bosnia. Qui c’è da sempre la fabbrica “Krivaja” specializzata nella lavorazione del legno e che dà lavoro a praticamente tutta la popolazione adulta nei paraggi.
    Qui il calcio è sempre stato poco più di un passatempo domenicale per poche centinaia di appassionati che seguono la squadra locale, chiamata anche lei “Krivaja” dal nome della omonima azienda che permette con la sua sponsorizzazione di giocare nei campionati dilettantistici della regione.
    Poi, un giorno, cambia tutto.
    Sulle tribune del piccolo stadio di Zavidovići iniziano ad arrivare osservatori e dirigenti da Zagabria, da Belgrado e da Spalato dove giocano le più grandi squadre del Paese.
    Sono tutti lì per ammirare le gesta di un diciottenne di talento che in quel campionato è semplicemente fuori categoria per il numero di reti segnate e per la qualità del suo gioco. Alla fine sarà addirittura la Stella Rossa di Belgrado ad assicurarsi le sue prestazioni.
    Il ragazzo si chiama Sead Sušić e quando la televisione locale gli mette davanti un microfono la prima cosa che dirà è la seguente: «Sono ovviamente molto felice di andare a giocare in un club così grande e prestigioso. Ma è giusto che sappiate tutti una cosa: quello davvero bravo in famiglia è mio fratello. Ha solo sedici anni ma di lui sentirete parlare molto presto»
    Il fratello di Sead si chiama Safet e nel giro di pochi anni diventerà il più forte calciatore bosniaco di tutti i tempi ... prima di condividere ancora oggi con Edin Dzeko questo riconoscimento.
     
    Il giovane Safet incanta con la sua classe.
    Le presenze alle partite del “Krivaja” aumentano in maniera esponenziale.

    Ora è su di lui che tutti i più grandi club jugoslavi hanno messo gli occhi. C’è la Stella Rossa dove gioca, con alterne fortune, il fratello, ci sono i rivali cittadini del Partizan e c’è l’Hajduk di Spalato dove sognano di avere lui ad imbeccare due eccellenti attaccanti come Slaviša Zungul e Ivan “Ivica” Šurjak.
    Safet però ha una caratteristica particolare che lo contraddistinguerà per il resto della carriera: non è né particolarmente ambizioso e soprattutto non considera il denaro un aspetto chiave e prioritario.
    Hajduk, Stella Rossa e Partizan restano con un palmo di naso.
    Safet non intende allontanarsi dalla sua famiglia e dai luoghi dove è cresciuto.
    Firma per l’FK Sarajevo, il più importante club della Bosnia ma che come risorse e qualità non può certo competere con le grandi del calcio jugoslavo.
    Sono in molti a pensare che quella sia solo una scelta temporanea.
    In fondo “Pape” come viene chiamato da tutti, ha solo diciotto anni e il tempo è tutto dalla sua parte.
    ... Safet Sušić rimarrà al FK Sarajevo per la bellezza di nove stagioni.
    Pur giocando in un club di seconda fascia la Nazionale del suo Paese non può non accorgersi del suo talento.
    Sušić segna e fa segnare e la sua tecnica individuale è di primissima qualità con un repertorio di finte, dribbling, tunnel e colpi di tacco che mandano in visibilio  chiunque abbia la fortuna di vederlo giocare.
    In una Nazionale dove il talento ha sempre contato di più di tutto il resto un giocatore così diventa presto imprescindibile.
    Nel 1977 arriva il giorno del suo esordio in Nazionale.

    E’ un’amichevole a Budapest contro l’Ungheria.
    La Jugoslavia vince per quattro reti a tre e “Pape” segna una splendida doppietta.
    Il match successivo è di importanza capitale. La Jugoslavia è attesa in Romania. Si gioca per conquistare un posto tra le sedici nazionali che parteciperanno ai Mondiali di Argentina dell’estate successiva.
    Sarà un incontro che finirà dritto dritto nella storia del calcio jugoslavo.
    Un rocambolesco e spettacolare sei a quattro per gli uomini del “triumvirato” di allenatori Valok, Vitovic e Zec con Safet Sušić protagonista assoluto grazie ad una splendida tripletta.
    Purtroppo per Sušić e compagni i Mondiali di Argentina saranno giocati dalla Spagna che nel girone di qualificazione avrà la meglio proprio su Jugoslavia e Romania.
    Le due stagioni successive (1978-79 e 1979-80) saranno memorabili per il club della capitale bosniaca.
    Arriveranno infatti un 4° e addirittura un 2° posto finale in campionato.
    Risultati inimmaginabili prima dell’avvento in squadra di “Pape” Sušić che pur non giocando da attaccante puro contribuisce con 15 e 17 reti, vincendo nel 1980 la classifica marcatori ma aggiudicandosi nella stagione precedente il titolo di “Miglior calciatore jugoslavo”.
    Nel 1982 la Jugoslavia tornerà finalmente a disputare i Mondiali di calcio nell’edizione spagnola. Non sarà un mondiale memorabile.
    Uscita al primo turno e con una sola vittoria, contro il debole Honduras.
    In quella stagione però arriva per “Pape” il fatidico compimento dei 27 anni di età che significa per i calciatori jugoslavi la possibilità di trasferirsi all’estero in campionati di maggior qualità e prestigio.
    Nessuno in Italia ha dimenticato la sua prestazione contro gli azzurri di tre anni prima. L’Inter si muove con grande rapidità e la spedizione a Sarajevo permette agli emissari nerazzurri di tornare con un contratto firmato, finalmente congruo alle grandi doti di Sušić.
    Passano pochi giorni quando entra in scena il Torino offrendo una cifra superiore a quella offerta dai nerazzurri.
    “Pape” dà il suo benestare al trasferimento.
    Luciano Moggi
    , DS del “Toro” annuncia ai propri entusiasti tifosi l’acquisto del fantasista jugoslavo.
    L’inter, ovviamente, non ci sta.
    Mostra in Federazione il papiro con la firma di Sušić.

    La FIGC  blocca il trasferimento.
    Sušić non giocherà per nessuna delle due squadre e anzi il suo trasferimento eventuale in una squadra italiana viene bloccato per una stagione intera.
    Siamo ormai agli sgoccioli del mercato.
    Safet Sušić è affranto.
    All’ultimo istante, quando ormai è rassegnato ad un’altra stagione nel Sarajevo, arriva l’offerta di un club francese con poca storia e che ha appena concluso al settimo posto della Ligue One.
    Questo club si chiama Paris Saint-Germain ed è dove Safet Sušić giocherà praticamente per tutto il resto della carriera, conquistando gli unici due trofei nelle due decadi giocate da calciatore professionista.
    La Coppa di Francia nel 1983 e il campionato francese nel 1986, il primo conquistato dal PSG nella sua storia.
    Sarà qui in Francia che il nome di Safet Sušić diventerà finalmente conosciuto a livello internazionale. 
    In nove stagioni delizierà il pubblico del Parco dei Principi con la sua grande classe, giocando inizialmente nel suo ruolo classico di trequartista per arretrare via via il suo raggio d’azione nelle ultime stagioni ... senza però perdere mai il vizio del gol, grazie al suo preciso e potente tiro con entrambi i piedi e anche al suo tempismo nel gioco aereo che gli ha permesso di segnare tanti gol di testa.
    Al termine della stagione 1990-91, giocata con la fascia di capitano e chiusa con dieci reti in trentasette partite, “Pape” lascerà il PSG.
    Giocherà una stagione nella serie cadetta con la “Red Star”, il secondo club parigino, prima di chiudere la carriera ed intraprendere quella di allenatore.
     

    ANEDDOTI E CURIOSITA’
     
    Nel novembre del 1973 dopo un paio di mesi nel settore giovanile Safet viene ritenuto più che pronto per il salto in prima squadra.
    Due settimane dopo, in un incontro casalingo contro l’FK Proleter, arriva il suo primo gol tra i professionisti.
    Gol che a Sarajevo sarà ricordato per parecchio tempo ...
    “Pape” riceve palla sulla trequarti avversaria, alza la testa e poi parte in progressione. Salta due avversari, arriva davanti al portiere, lo fa sedere con una finta prima di depositare il pallone nella porta sguarnita.
    A fine partita è accerchiato dai giornalisti locali.
    «Mi spiace ma sono troppo giovane per parlare con voi» annuncia con un filo di voce il timidissimo Safet.
    Qualcuno ci riprova.
    «Safet, raccontaci almeno il gol!»
    «Cosa volete che vi dica? Ho visto che non c’era nessuno dei miei compagni smarcato a cui passare la palla e così non avevo altra scelta che provare a fare tutto da solo».
    L’umiltà. Caratteristica che Safet Sušić non perderà mai in tutta la sua carriera.
     

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