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  • Vladimir Beara, il ballerino con le mani d'acciaio

    Vladimir Beara, il ballerino con le mani d'acciaio

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    Nel 1963 Lev Yashin viene premiato con il Pallone d’oro come miglior giocatore europeo. Quando gli mettono un microfono sotto al naso qualcuno gli chiede se ritiene corretta la definizione anche di “Miglior portiere della Storia”.

    La sue parole spiazzano tutti.

    «Vi ringrazio ma non solo non ritengo di essere il miglior giocatore d’Europa ma di sicuro non sono neppure il miglior portiere di sempre. Quel titolo appartiene a Vladimir Beara».

    E se all’epoca molti conoscevano la sua esistenza e la sua storia oggi sono veramente in pochi, pochissimi quelli che conoscono o ricordano il suo nome.

    Ma chi era Vladimir Beara e cosa ha fatto per meritarsi un riconoscimento del genere dal grande “Ragno Nero” sovietico considerato ancora oggi uno dei più grandi portieri della storia del calcio?

    Vladimir Beara nasce nel villaggio di Zelovo Sutinsko, nei pressi di Sinj, cittadina oggi della Croazia e all’epoca appartenente al Regno di Serbia, Croazia e Slovenia, più comunemente chiamato all’epoca della sua nascita e fino al 1941 “Regno di Jugoslavia”.

    Proprio nelle sue radici risiederanno la maggior parte dei problemi che Vladimir dovrà affrontare nel corso della sua carriera.

    Jakov e Marija, i suoi genitori, sono serbi.

    E Vladimir, pur nato e cresciuto nell’allora regione croata, sarà sempre considerato un “vlaj”, un termine che significa più o meno “bastardo”, dalle origine miste o non completamente definite.

    Non serve a molto neppure la scelta di unirsi alla compagnia Pristina, una delle divisioni dei Partigiani di Tito e aver combattuto con e per il suo popolo.

    Vladimir Beara sarà un “vlaj” per sempre.

    Finita la guerra torna a Spalato.

    Termina con successo il suo corso da elettricista e intanto si dedica ad una delle sue passioni: la danza classica.

    Ma la sua priorità è già chiarissima: ama il calcio ed è un fervente supporter dell’Hajduk Spalato.

    Va spesso ad allenarsi vicino al campo dei suoi adorati “Bili” (i “bianchi”) con la speranza che qualcuno noti la sua abilità.

    Un giorno l’occasione arriva.

    Finito l’allenamento alcuni calciatori della prima squadra decidono di sfidarsi sui tiri da fermo.

    I portieri però sono già rientrati negli spogliatoi.

    Tra i ragazzi che stanno seguendo l’allenamento c’è anche Vladimir.

    Qualcuno lo riconosce.

    «Ragazzo, ti va di metterti in porta? Ti promettiamo che non tireremo particolarmente forte»

    Meno di un anno dopo Vladimir Beara sarà il portiere titolare dell’Hajduk di Spalato.




    Nel 1950 farà parte della rosa della Nazionale jugoslava che partecipa alla Coppa del Mondo organizzata quell’anno in Brasile.

    Il ruolo di titolare però viene assegnato a Srdan Mrkusic, portiere della Stella Rossa, ma le sue prestazioni, specie quella nel decisivo match contro il Brasile nel girone di qualificazione, convincono il selezionatore jugoslavo che quel posto spetta di diritto a Beara.

    E così, nella trasferta inglese ad Highbury è Beara il portiere titolare della Nazionale jugoslava.

    E’ il 22 novembre del 1950 e gli inglesi fino a quel giorno avevano vinto tutti gli incontri giocati sul suolo patrio.

    Pare che sia così anche stavolta. Il formidabile centravanti dei “leoni” Nat Lofthouse al suo esordio in Nazionale firma entrambe le reti con le quali l’Inghilterra chiude in vantaggio il primo tempo.

    In avvio di ripresa però è Leslie Compton a deviare un pallone nella propria porta e di fatto a riaprire la partita.

    Gli inglesi continuano ad attaccare a sfiorano ripetutamente la terza segnatura.

    Non fanno i conti però con la bravura di Vladimir Beara che quel giorno compie miracoli in serie.

    La Jugoslavia riesce addirittura a pareggiare ad una dozzina di minuti dal termine e a quel punto il finale di partita diventa un vero e proprio assedio.

    Beara però è un muro insormontabile.

    Finirà così, 2 a 2, a sancire l’impresa dei “plavi” in terra d’Albione.

    Sui quotidiani inglesi il giorno dopo i titoli sono divisi tra l’esaltazione per l’esordio di Nat Lofthouse e gli elogi per quel portiere che “danza come una ballerina e si tuffa sui piedi degli avversari con il coraggio di un leone”.

    Nel 1952 la Jugoslavia, trascinata dalle parate di Beara e dai gol di Rajko Mitić,  Zlatko Čajkovski, Branko Zebec (questi ultimi due saranno gli allenatori che si divideranno il merito di aver costruito il grande Bayern Monaco degli anni ’70) arriva alla finalissima delle Olimpiadi disputate in Finlandia.

    Di fronte c’è “la squadra d’oro”, quella della grande Ungheria di Puskas, Czibor, Hidegkuti e Koscis.

    La Jugoslavia resiste per settanta minuti e anzi crea diversi pericoli per la porta magiara prima di capitolare ad opera del magico sinistro di Ferenc Puskas, bravo ad evitare in uscita Beara prima di infilare a porta vuota.

    Nel finale arriva il gol di Zoltàn Czibor a chiudere definitivamente il match.

    Beara però trova il modo anche in questa occasione di mettere in mostra le sue doti.

    Sullo zero a zero viene assegnato un rigore agli ungheresi.

    Sul dischetto si presenta lo specialista Puskas.

    La sua rincorsa fa pensare ad una conclusione di potenza alla sinistra di Beara.

    All’ultimo istante però il numero “10” dell’Honvéd “apre” il piatto sinistro e indirizza il pallone verso l’angolo opposto.

    Una finta alla quale hanno abboccato probabilmente tutti. Compagni, avversari e i 60 mila presenti sugli spalti.

    Tutti tranne uno.

    Vladimir Beara si tuffa dalla parte giusta e blocca il pallone calciato dal mago magiaro.

    La Jugoslavia ha tanto talento e anche ai Mondiali del 1954 riesce a farsi valere.

    La buona sorte però ha deciso di voltare le spalle a Zebec, Mitic, Boskov (si, proprio il grande Vujadin!) Beara e compagni.

    Nei quarti di finale agli slavi tocca la Germania Ovest.

    Dopo una manciata di minuti è una sfortunata autorete di Horvat a permettere ai tedeschi di portarsi in vantaggio.

    Per tutto il resto del match si assiste ad un monologo di Zebec e compagni che assediano la porta di un ispiratissimo Turek. Qualcuno conta almeno dieci nitide palle-gol per la Jugoslavia ma l’unico gol al quale si assisterà nel resto del match è quello del tedesco Helmut Rahn a cinque minuti dalla fine.

    Intanto l’Hajduk Spalato, grazie in buona parte alle strepitose prestazioni di Vladimir Beara, torna ad essere una delle protagoniste del campionato jugoslavo.

    Sono passati ventuno anni dall’ultimo titolo vinto quando nel 1950 i “bili” tornano a trionfare in Patria.

    Altri due titoli arriveranno nel 1952 e nel 1955, con Beara sempre assoluto protagonista.

    Al termine di quella stagione accade però qualcosa di decisamente spiacevole che cambierà la carriera di Beara e le sorti dell’Hajduk.

    Viene organizzato un ricevimento ufficiale per premiare la squadra campione.

    Il Presidente dell’Hajduk Marko Markovina prende la parola.

    Ringrazia ad uno ad uno i calciatori della rosa ... tutti tranne uno: Vladimir Beara non viene neppure citato.

    Al termine del ricevimento chiede spiegazioni direttamente a Markovina.

    «Tu sei solo un portiere come gli altri due che abbiamo in squadra. Non mi sembra tu abbia meriti speciali. Perché dovrei parlare di te?»

    Ancora una volta le origini serbe di Beara contano più delle sue imprese sul campo.

    Stavolta però il vaso è colmo.

    Beara decide di non rimanere un minuto di più in quel club che lui ama ma il cui amore non è certo ricambiato.

    Prende contatto con Otto Hoffmann, uno dei massimi dirigenti della Dinamo Zagabria.

    Ma non è solo una “questione di calcio”.

    Hoffmann accetta di inserire Beara nella Dinamo ma “solo se dirigenti e tifosi di Spalato e Zagabria sono d’accordo”.

    Beara ha capito perfettamente l’antifona.

    A questo punto decide il tutto per tutto: chiama il mitico “Doktor O” ovvero Aca Obradović , uno dei massimi dirigenti e vero “deus ex machina” della Stella Rossa di Belgrado.

    Costui non crede alle proprie orecchie. Portare Beara alla Stella Rossa vuol dire garantire quel salto di qualità necessario per tornare a primeggiare in Patria.

    A Obradović non interessa minimamente dei possibili risvolti socio-politici. A lui interessa costruire la “Crvena zvezda” più forte possibile.

    Per riuscire a pagare il trasferimento si vocifera che la Stella Rossa decida di finanziarsi vendendo il pullman della squadra.

    E che Beara venga prelevato a notte fonda da Spalato da un anonimo furgone per portarlo a Belgrado.

    Di certo c’è che il “Doktor O” aveva perfettamente ragione.

    Con Beara in porta nella stagione successiva la Stella Rossa conquisterà il titolo mentre l’Hajduk campione in carica finirà terzultima, salvandosi dalla retrocessione per soli due punti.

    Nei quattro campionati successivi la Stella Rossa trionferà in tre occasioni mentre l’Hajduk per rimettere le mani sul titolo dovrà aspettare fino al 1971 ...

    Nel 1960, quando Beara ha trentadue anni, gli viene concesso il permesso di lasciare il Paese per proseguire la carriera all’estero.

    Va a giocare in Germania, nelle file dell’Alemannia Aachen, squadra tedesca di secondo piano ma che gli permette un ingaggio più che dignitoso.

    Qui però subisce un grave infortunio che ne limita presenze e prestazioni.

    Chiude la carriera nel 1963, lo stesso anno in cui Lev Yashine conquisterà il “Pallone d’oro” ricordando al mondo intero chi fosse stato davvero il portiere più forte di tutti: Vladimir Beara.


    ANEDDOTI E CURIOSITA’

    Vladimir Beara ha sempre indicato con molta chiarezza chi fu l’uomo decisivo per la sua crescita di portiere: Luka Kaliterna, uno dei suoi allenatori appena arrivato all’Hajduk.

    «“Barba” Luka mi faceva lavorare per ore lanciandomi palline grandi come quelle da tennis da tutte le angolazioni, alte, basse o facendomele rimbalzare davanti. Una volta che imparai a bloccare quelle palline farlo con un pallone da calcio divenne tremendamente più facile!»

    Per sua stessa ammissione il rimpianto più grosso rimane quello dei quarti di finale persi con la Germania Ovest (poi vincitrice della competizione) nel 1954.

    «Dopo essere passati in svantaggio dominammo la partita creando un’infinità di occasioni e mettendo alle corde i tedeschi. Io mi feci male ad inizio del secondo tempo ma non dovetti praticamente mai intervenire ... anche se quando arrivò il secondo gol di Rahn a cinque minuti dal termine riuscivo a malapena a muovermi»

    Sempre durante quei Mondiali accadde uno spiacevole episodio poco prima del match contro i tedeschi.

    Il Presidente della Federazione jugoslava Rato Dragonjic prima dell’inizio del torneo promise a tutti i componenti della nazionale una “Vespa”, la famosissima moto di marca italiana, in caso di superamento del primo turno.

    Poco prima della partita con i tedeschi lo stesso Dragonjic si premurò di avvisare i giocatori che non solo non ci sarebbe stata nessuna “Vespa” per nessuno di loro ma che anzi avrebbero dovuto vergognarsi a pretenderla quando in Patria c’erano persone che guadagnavano il minimo indispensabile per sfamare le proprie famiglie.

    «Il punto è che noi non avevamo chiesto nulla, passando addirittura per viziati e pretenziosi agli occhi dell’opinione pubblica del nostro Paese. Non fu certo lo spirito adatto con cui andammo a giocare la partita con i tedeschi ...» ha sempre ricordato mestamente Beara.

    Quando si sparse la notizia della “fuga” di Vladimir Beara da Spalato ci fu un’autentica sollevazione popolare. Molti tifosi giurarono di essere pronti ad uccidere Beara nel caso si fosse ripresentato in città.

    Quando nella stagione successiva si presenta a Spalato con i suoi nuovi colori dagli spalti viene fatto bersaglio del lancio di oggetti, soprattutto monete.

    Alla fine dei novanta minuti però a tutti fu chiara la differenza tra chi aveva ora in squadra Beara: la Stella Rossa trionfò per tre reti a zero, con Beara protagonista di diversi interventi di altissimo livello.

    Finita la carriera tra i pali, condizionata dal brutto infortunio rimediato in Germania, Beara intraprende quella di allenatore. I risultati sono immediatamente di buon livello a tal punto che nel 1970 arriva la chiamata più attesa e probabilmente insperata: il suo Hajduk lo vuole nelle vesti di vice-allenatore di  Slavko Luštica. A volerlo è il Presidente Tito Kirigin che non solo ricorda il contributo di Beara nei suoi anni fra i pali ma intende dare un forte segnale di coesione ai sempre più manifesti malumori di natura etnica.

    Con il ritorno di Beara nelle vesti di coach l’Hajduk torna a vincere immediatamente il campionato. L’ultimo, quello del 1955, era con Beara tra i pali prima del suo clamoroso trasferimento alla Stella Rossa.

    Il grande risultato pare placare un po’ gli animi ma in realtà per Vladimir Beara non è cambiato nulla. Dove non è freddezza e distacco e evidente fastidio e antipatia nei suoi confronti.

    E’ un “vlaj” e stavolta ha capito che lo sarà per sempre.

    Al termine della stagione successiva (chiusa con il trionfo nella Coppa di Jugoslavia) verrà allontanato senza alcun riconoscimento e tantomeno rimpianto.

    In Inghilterra si parlò per anni della sua prestazione con la sua nazionale ad Highbury.

    Bob Wilson, il portiere dell’Arsenal che vinse il double nella stagione 1970-71, lo ricorda così.

    «Era una meraviglia vederlo tra i pali. Non ho mai più visto un portiere così elegante, rilassato e sereno. Giocava in punta di piedi, ogni suo movimento era esteticamente perfetto. Solo dopo scoprimmo del suo passato da ballerino. Era agilissimo e al tempo stesso coraggioso. Fu una delle ragioni che mi fece innamorare del ruolo di portiere».

    Vladimir Beara era tra i pali anche la sera del 5 febbraio del 1958.

    Quella sera a Belgrado si giocava Stella Rossa- Manchester United per i quarti di finale della Coppa dei Campioni.

    Fu l’ultima partita che giocarono molti dei “Busby babes” che morirono la notte successiva nel disastro di Monaco di Baviera.

    Quella partita finì tre a tre permettendo ai “Red Devils” di qualificarsi per le semifinali ma negli occhi di tanti tifosi inglesi resta la gara di andata dove gli uomini di Matt Busby vinsero “solo” per due reti ad una grazie in buona parte ai miracoli di Vladimir Beara che respinse con la sua classe diversi palloni.

    Bobby Charlton, uno di quelli che ci provò senza fortuna più spesso, a fine partita dichiarò che «contro un qualsiasi altro portiere avremmo vinto almeno sei a uno».

    Infine ci fu un altro portiere che non ebbe dubbi nel definire chi fosse negli anni ’50 il miglior portiere in circolazione.

    Ricardo Zamora, il mitico portiere spagnolo, lo disse senza mezzi termini.

    «Ci vorrà del tempo prima di rivedere un portiere così forte e completo».

    Vladimir Beara morirà a 86 anni nell’agosto del 2014.

    Fedele alla sua storia ci saranno tristi polemiche anche sulla scelta del luogo e del modo della sua sepoltura.

    Per decisione della moglie Jadranka Vladimir verrà sepolto nel cimitero cattolico “Lovrinac” a Spalato quando lo stesso Beara si era sempre dichiarato un fervente credente della Chiesa Ortodossa Serba.

    Un “vlaj” senza Patria e pace anche dopo la morte.

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